Mio figlio adottivo non mi chiama mamma

I bambini che si accolgono in Adozione Internazionale attualmente hanno spesso un’età “scolare”, oltre i 6 anni di età, e quindi una storia alle spalle di cui si ricordano, nella quale gli adulti di riferimento, per qualche motivo, hanno fallito il loro compito di cura nei loro confronti. Molto spesso hanno chiamato già qualcuno mamma o papà nella loro vita. Poi arriva una coppia adottiva e viene detto loro che sono arrivati i loro “nuovi” genitori. All’improvviso, una parola che è la più spontanea per un essere umano, la prima che viene imparata dai bambini in tutte le lingue e culture, viene caricata di aspettative e timori, e perde di naturalezza. Tutte le coppie sperano di essere chiamati mamma e papà subito, o il prima possibile.

Ma non tutte le coppie potrebbero dire sinceramente che dentro di loro hanno sentito immediatamente “figlio” quel bambino che hanno accolto. Questo è fisiologico e normale. Ci vuole tempo per costruire un vero senso di appartenenza reciproca. Ci vuole pazienza, nell’accogliere e contenere provocazioni, distanze, rifiuti da parte dei bambini, che sono in realtà terrorizzati. Hanno paura di lasciarsi andare, di lasciarsi amare, di essere di nuovo delusi. Sono bambini feriti, che hanno imparato a non fidarsi, per soffrire il meno possibile.

Adozione Internazionale. Il figlio e il rapporto con i genitori adottivi

Quando i bambini chiamano mamma o papà le coppie adottive già dal primo incontro (e succede spesso) si può immaginare che dipenda più dal loro desiderio, o talvolta da cosa hanno “consigliato” loro gli operatori, più che da un sentimento reale, che ha bisogno di maggiore tempo per essere realmente sperimentato.

Quando invece i bambini iniziano a chiamare per nome le coppie, può sembrare che abbiano maggiore distanza o maggiore paura, ma può non essere così. Inoltre la prima volta che lo fanno, le coppie sono sicure che lo sentono davvero nel cuore. E la gioia che provano è indescrivibile.

I bambini hanno bisogno di potersi fidare, di poter essere consolati, compresi, accuditi, curati, rassicurati.
Ma soprattutto pensati.

Se trovano questo hanno trovato una mamma (o un papà), comunque li chiamino!

Francesca Berti

Psicologa e psicoterapeuta – Ai.Bi. – Amici dei Bambini

L’incertezza sanitaria connessa alla adozione dei bambini piccoli

Adottare un bimbo molto piccolo può comportare dei rischi sanitari. Le coppie devono essere adeguatamente preparate

Il desiderio di adottare bambini piccoli è molto comune, soprattutto nelle prime fasi in cui si comincia a nutrire il progetto adottivo. Questo desiderio fa parte di un percorso naturale e comprensibile, come se fosse la prima fase della trasformazione dal desiderio di genitorialità biologica a quella adottiva.

Inoltre adottare bambini piccoli è immaginato e percepito come più “semplice”, evidenziando talvolta una certa tendenza all’idealizzazione.

Bambini piccoli e adozione: il rischio sanitario

In realtà ci sono dei rischi che dobbiamo prendere in considerazione, in primis quello “sanitario”. Le maggiori patologie infantili sono trattate dalla neuropsichiatria infantile, che è la disciplina che si occupa della prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione delle patologie neurologiche e psichiatriche dell’età evolutiva (da 0 a 18 anni) e dei disordini dello sviluppo del bambino nei suoi vari ambiti di espressione (psicomotorio, linguistico, cognitivo, emotivo e relazionale).

La dicitura usata in neuropsichiatria infantile di ritardo psicomotorio è una modalità con cui si segnala il ritardo delle principali competenze psicomotorie (motricità, linguaggio, schema corporeo, percettiva, spazio-temporale, grafica ecc.). Tale definizione viene usata soprattutto nei bambini più piccoli dove lo sviluppo delle competenze cognitive è più difficilmente valutabile.

In situazioni in cui il bambino nasce e cresce in seno a una famiglia “sufficientemente buona”, segni di ritardo psicomotorio potrebbero essere correlati con dei disturbi più importanti.

I bambini istituzionalizzati vivono però delle carenze così gravi nelle stimolazioni ricevute, per cui spesso presentano ritardi psicomotori, che possono essere recuperati con le giuste sollecitazioni affettive, cognitive e relazionali, e con il tempo.

Perciò, quando arrivano schede di abbinamento per l’adozione di bambini entro i 3-4 anni in cui sono segnalate alcune problematiche legate allo sviluppo, può risultare molto difficile interpretarle per permettere una diagnosi e una prognosi certe della situazione presente: per esempio un ritardo nel linguaggio di un bambino di 3 anni potrebbe derivare dalle privazioni dell’Istituto e essere dunque recuperato con un percorso logopedico, come potrebbe essere legato a un quadro sindromico più complesso.

Le diagnosi più gravi inoltre, come per esempio quelle di disturbi dello spettro autistico o di ritardo mentale vengono in genere fatte entro i primi tre anni di vita, in condizioni di crescita lineari e in famiglia. Accogliere in adozione un neonato o un bambino molto piccolo non ci permette di escludere quindi l’eventuale insorgenza successiva di tali patologie.

L’accoglienza di un bambino molto piccolo perciò può comportare dei rischi importanti dal punto di vista sanitario ed è importante che la coppia adottiva compia un percorso di consapevolezza per comprendere le implicazioni insite in questo tipo di percorso.

Dott.sa Francesca Berti

Psicologa Psicoterapeuta Ai.Bi. – Amici dei Bambini

 

Master Procreazione Medicalmente Assistita Careggi

Ho avuto il privilegio di confrontarmi più di una volta in qualità di docente con un gruppo multiprofessionale di gineocologi, psicologi, ostetriche, tecnici di laboratorio e operatori sanitari del settore mi ha dato una grande carica. C’è molto da fare per poter accompagnare in maniera adeguata le donne e le coppie che si trovano ad avere difficoltà procreative o che imboccano la strada della Procreazione Medicalmente Assistita. Ed è raro trovare una formazione integrata di questo calibro.

https://www.unifi.it/cmpro-v-p-11408.html#salute_riproduttiva

 

“L’Amore è sempre amore per il nome” Hungry Hearts- Commento psico-cinematografico

Hungry Hearts è un film drammatico diretto da Saverio Costanzo tratto dal romanzo Il bambino indaco di Marco Franzoso. È stato presentato in concorso al Festival di Venezia del 2014, dove ha vinto due Coppe Volpi per le interpretazioni di Adam Driver e Alba Rohrwacher.

Hungry Hearts è un film molto complesso, sia da un punto di vista tecnico che umano. Il regista sfrutta molti accorgimenti tecnici cinematografici, come la scelta di luoghi chiusi e oppressivi, per cui lo spazio diventa radiografia del sentire, o il ricorrere ai piani sequenza (quello iniziale), all’uso di lenti deformanti, che sottolineano l’incedere dell’ossessione di Mina, e alla scelta di posizioni di ripresa che spesso non sono “realistici”, ma esprimono punti di vista distorti.

La storia che racconta è una parabola ossessiva, a cui noi iniziamo ad assistere dall’incontro dei due protagonisti: il senso di prigionia e oppressione parte dal bagno fetido di un ristorante di bassa categoria. La maestria tecnica che il regista esprime concorre a rappresentare in maniera fortemente emotiva i mondi interni dei personaggi, soprattutto di Mina, che risultano difficilmente narrabili in altro modo.

I temi trattati sono attuali e antichi: la solitudine legata alle difficoltà della maternità, la “corruzione” del mondo moderno, la difficoltà degli uomini di trovare un ruolo paterno adeguato al mondo che è cambiato, l’ideologia contro il proprio sentire. Il regista ha scelto di dare solo pennellate e accenni rispetto alla storia pregressa ma anche a quella che si svolge sotto i nostri occhi, e infatti ci propone lunghi salti temporali espressi da uno schermo nero, in linea con il buio che gradualmente cala sulla felicità dei neo genitori.

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Il divezzamento dei bambini

L’inizio di un’alimentazione complementare è un passaggio importante e delicato per le mamme e i loro bambini. Gli incontri forniranno spunti di riflessione e strumenti pratici per una dieta bilanciata e sana.

Due incontri per parlare di alimentazione nei primi anni di vita del bambino:

Venerdì 27 maggio dalle 16.30 alle 18.30
***A proposito di divezzamento.  Come, quando e perché iniziare un’alimentazione complementare***
L’introduzione di un’alimentazione fatta non più di solo latte pone i neo­genitori di fronte a scelte e riflessioni. Il divezzamento è un passaggio estremamente importante nella relazione madre­bambino, perché implica un processo di crescita verso l’autonomia di entrambi e necessita perciò di molta attenzione per trovare un equilibrio fra i bisogni del bambino e quelli della mamma.
Scopriamo quando e come proporre ai piccoli un nuovo modo di alimentarsi incentivando l’ascolto e la comprensione delle necessità del bambino e della mamma.

Incontro è a cura della Dott.ssa Azzurra Di Iulio, Naturopata, esperta di alimentazione e della Dott.ssa Francesca Berti, Psicologa, esperta di maternità (www.francescaberti.it)
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Venerdì 10 giugno dalle 16.30 alle 18.30
***L’alimentazione del bambino dai 6 mesi ai 2 anni***
Le tappe del divezzamento sono spesso presentate come rigide regole da seguire alla lettera, guai a sbagliare! La qualità degli alimenti proposti al bambino incidono sulla sua crescita, sul formarsi del gusto e delle sue difese naturali e pongono sempre più interrogativi nella famiglia.
In questo incontro forniremo strumenti pratici per una dieta bilanciata e sana fin dalle prime pappe per nutrire con attenzione e fantasia: quali cibi prediligere, i loro valori nutritivi e come cucinarli, i vantaggi dell’alimentazione biologica e casalinga.

Incontro è a cura di Dott.ssa Azzurra Di Iulio, Naturopata, esperta di alimentazione

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COSTO: 25 euro a incontro.
I due incontri sono disgiunti, quindi si può partecipare a uno e/o all’altro.

Dove?
Ass. Co-Cò Spazio CO-STANZA Via del Ponte alle Mosse, 32/38 Rosso – Firenze

È necessaria la prenotazione a: info@spaziocostanza.it o allo 055 2741095.

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Quando la cicogna porta la crisi di coppia..ne parla la dott.ssa Francesca Berti

“Lo abbiamo desiderato tanto. E siamo stati felici di sapere che aspettavamo Andrea. Ci siamo divertiti a risistemare la casa per accoglierlo. Siamo stati al settimo cielo quando lo abbiamo avuto finalmente fra le braccia. Ma lentamente qualcosa è cambiato. La distanza tra noi è aumentata e anche la freddezza. Il suo arrivo ci ha allontanati..”

Molte coppie raccontano di crisi che percepiscono essere iniziate con la nascita dei figli.
In maniera spesso inaspettata un evento che è atteso con gioia e trepidazione si trasforma in un percorso a ostacoli per costruire un nuovo equilibrio familiare.
Negli ultimi trent’anni le separazioni nei primi tre anni di vita dei figli sono in costante ascesa.
E’ stato anche coniato il termine “Baby Shock” per definire questo fenomeno, a sottolineare il forte impatto che sta avendo sulla nostra società.
Al di là dei numeri, l’arrivo del primogenito sicuramente porta una rivoluzione enorme nella nostra vita di coppia: se prima ci guardavamo negli occhi, adesso guardiamo insieme verso qualcun altro, fuori da noi. E’ certamente un cambiamento evolutivo, perciò naturale e positivo, ma non bisogna sottovalutare i segnali di disagio, che troppo spesso compaiono precocemente e non sono adeguatamente ascoltati.
In greco il termine crisis deriva dal verbo krinein decidere, distinguere e significa, quindi, scelta, decisione. La parola crisi può essere intesa nel senso di grave incertezza, instabilità e difficoltà in relazione all’accumularsi di conflitti irrisolti che i partner non hanno saputo gestire.
Ma crisi significa anche momento di passaggio che richiede scelte non più rinviabili e offre la possibilità di un’evoluzione positiva.
Vivere insieme è un percorso di continua co-costruzione fondata sulla capacità di conservare quello che c’è e di creare insieme il nuovo.
Come ogni fenomeno dell’esistenza umana anche la vita di coppia è un processo, un continuo divenire il cui cambiamento si costituisce attimo dopo attimo e può portare alla trasformazione positiva della coppia, se le persone riescono a tenere in vita un nucleo di base, la relazione d’amore, accompagnandolo con la modifica pressoché continua delle modalità espressive e dello stile di vita.

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